Franco Fiorini
opera 1° classificata
Il volto di Pietro
Ricorda il vecchio minatore
la fatica della pietra come le mani spaccata alla gelata.
Ma le betulle erano verdi a Wadowicenon più sangue il rosso dei papaveri
a onde gialle di grano maturo;
sui Tatra candida la neve a un soffio dalla vetta
ardua sfida agli anni più belli.
Data è la vita alla Storia sua signora
santo del Pescatore il soglio ultima dimora
lo strappo drammatica ferita.
Ma bianca la vela è già spiegata, salda la mano sul timone.
Lunga è la primavera a Roma…
Del tempo inesorabile il cammino
delle membra antica memoria il vigore
di mani d’arcobaleno allo stupore speso;
stanco di Pietro il volto a solchi di dolore consegnato
e pur vigili occhi di fanciullo da sempre all’Infinito arresi
del reale la scorza a penetrare
strappato al Nulla dal Mistero fatto carne.
È forza la speranza, passione la certezza
il sacrificio offerta, martirio sua ferita umanità;
testimone indomabile agli occhi dei semplici
alla mia storia segno di Misericordia.
Del sacro colle ai giardini dolci i sapori di Roma vespertina…
Incerta la mano sul bastone oppresso il cuore dal buio del mondo
prega il vecchio minatore Maria madre di Speranza
di ogni sussurro umano orizzonte estremo.
Dell’aurora il chiarore sfumerà l’ultima stella
e sarà ancora domani e ancora offerta chiamerà
e Fede sarà sempre.
Marco Galvagni
opera 2° classificata
L’orgoglio dei vivi
(a mio padre)
Ascolta l’impalpabile
ritmo del tempo:
sarai pronto nell’ora
dell’agonia
e sconfiggerai le tenebre
con la forza del silenzio;
quella forza
che, tenace, attraversa i secoli
e fa risplendere
con gran fulgore
il mistero cui t’avvicini.
Scaccerai
l’orgoglio dei vivi
con la promessa dell’eternità
e solcherai la vicenda dolce
della tua vita
penetrando il buio
con la tua scorza di diamante.
Vivrai il tarlo che rode
la tua coscienza scalfita
da un senso d’impotenza
con l’onore dell’età,
stinta come quel lenzuolo
di lino che pare scacciare
il freddo dell’abisso
ed io ora, padre, oso
accarezzare la tua fronte
imperlata di sudore
che, in una memoria di bambino,
conservo ancora vergine di rughe.
Ivan Vicenzi
opera 3° classificata
Immago
Vorrei rivedere quel tramonto con te
nelle luci perse dell’orizzonte,
nelle pieghe spiegate del vestito del cielo
ribelle
all’uniforme della notte.
Attimi infiniti di buio e luce
si mescolano e si spingono.
Una marcata patina d’oscurità
annuncia pacatamente messaggi
davanti al crepitio tremolante del focolare.
Ogni giorno finisce il sogno
al primo richiamo della sera,
alle prime ammiccanti luci
inizia la realtà di immaginarti
china davanti a me,
libera d’amare.
Franco Gollini
opera 4° classificata
I dimenticati
Amo i dimenticati del mondo:
il tempo che è nemico comune
in fretta cancella il dolore di ieri.
Oneste persone vivere di lavoro
come animali abituati alla soma
ho conosciuto e subito morire
stelle filanti nell’oblio del mondo.
Non applausi, né lettere di bronzo,
non statue d’arte, né foglie d’alloro,
non spazio di storia, ma indifferenza
farsi macchia sul volto dei potenti.
Qui chiamo i dimenticati per nome
in un brivido musicale d’organo.
Pietro Barbera
opera 5° classificata
Sedimenti
Sedimenti di passato
s’addensano
come scaglie sottili
lasciando impronte
nella polvere esalata
sotto filtranti raggi di sole.
Leggo tracce di ricordi
chiusi
dentro teche cristalline.
Talvolta
s’aprono profonde crepe
e quel sedimento
divenuto magma ribolle
affiorando in superficie.
Scava solchi e fluisce
come il sangue nella
mia vita.
S’incarna nella mente
fuggendo, poi, come un ladro
nascosto in mezzo agli altri
sul carro delle emozioni.
Salvatore Scollo
opera 6° classificata
Ieri ed oggi
Strattono la fune dei ricordi
la stringo forte e rammento:
camminate sugli argini del Po
baci caldi protetti da un portone
la misteriosità appena avvertita
di lei distesa che guarda l’obiettivo.
Ora non oso chiamare progetto
il mio procedere in avanti
mentre soffoco sino a zittirla
l’ansia che annaspa senza affogare.
Sospeso tra l’oggi e la memoria
mi prende la paura di precipitare
senza aver fatto udire la mia voce
nella trappola nascosta della morte.
Massimo Palladino
opera 7° classificata
Quell’ansia che fugge
È il tempo
Che s’accorcia rapido
In grandi spazi desolati,
tanto che è il ricordo di una
carezza che rimuove per
un momento
quell’ansia che fugge.
Urlano le voci degli arsi vivi
Lungo le strade che dimenticano
La storia frenetica di baci strappati
Ai libri sacri, religiosi:
“Che mi dirai, che mi dirai
Stavolta,
di frà Giordano Bruno da Nola?”
È il tempo
Ora, a desolarsi
nello sfinimento della canuta vastità
di uno spazio o di universi nascosti,
ne prenderei i fardelli in compagnia
delle anime che mi vivono la vita
ma è il vino oscuro tramutato in veleno
a farmi dimenticare l’oblio necessario
di un amore lacerato
dalle torture di notti semplici.
Nessuno si è ancora accorto
Di mani che tirano le corde della pioggia
Sulle nostre teste di innamorati
Dei pensieri senza più pathos, nessuno
ed è solo la caduta della città immaginaria,
assediata da lacrime, a fare rumore.
Giovanni Scilio
opera 8° classificata
Il giardino perduto
Sfiorite sono le rose
nel giardino perduto dell’innocenza
e invano l’arcobaleno unisce
le visibili tracce dell’invisibile
in chi è disperso
e senza identità ormai.
Non necessitano silenzi
dove nessuno parla:
è lingua dell’indicibile
un semplice sussurro,
rombo di vento
tra tempeste di sabbia.
Inutilmente cerchi
nei misteri dell’esistenza
frammenti di umanità
che diano ancora speranza,
che allontanino dalla memoria
i predicatori di violenza
e i messaggeri di morte
tra macerie fumanti
e cadaveri sfigurati.
Inutilmente cerchi
tra le ortiche e gli sterpi
candidi gigli da offrire
a chi sa ancora
di mare e di salsedine:
il giardino perduto
non dà più fiori
né frutti.
Pietro Catalano
opera 9° classificata
Ascolterò voci di natura
Un giorno vedrò la mia immagine
riflessa nello specchio della vita
e ascolterò l’eco dell’anima mia.
Non avrò altro d’imparare,
il dolore, l’amore,
assenza di sapore di miele,
sottili mani che non stringono più
occhi di bimbi ridesti,
amici del mio rimpianto amore.
Ascolterò voci di natura,
perdute in grotte profonde
dove l’acque faticano a respirare
e un soffio di cielo è un’eco
di farfalla nata a nuova vita.
Cristiano Comelli
opera 10° classificata
Graffiarsi la vita
Graffiarsi
il vestito della propria esistenza
per udire il rumore silenzioso
d’un’anima che sanguina,
è riscrivere un nuovo film
sui fotogrammi sbiaditi e inquieti
della propria pelle ormai consunta
stringersi in vorticosa,
disarmonica danza
con un timido gladiolo
che la nuvola ha traghettato
dalle seduzioni del cielo
al soffio ansimante della terra.
Fermarsi in una stanza buia
parlare con i propri pensieri
fino a sentire le proprie labbra
leggere come rondini cresciute
e pronte a scoprire
il fascino di un misterioso volo
è bere nel fiume della vita
dove le lacrime
fanno l’amore con i sogni.
__**Trofeo Poesia Donna**
Chiara Loseri Chiereghin
opera 1° classificata
Monologo
Mamma,
cos‘è morire?
Ora conosci il momento
della resa finale
che ci schiude il mistero.
Il vero ti appartiene,
ma il tuo silenzio
è sipario impenetrabile
ai miei dubbi.
Di te sono rimaste le cose
a incorniciare i ricordi,
ricami di rose
e parole…
Tu china sulla tela
io accanto, sotto la luce
del vecchio saliscendi,
a leggerti i versi dei poeti.
“Che peccato morire, – mi dicevi – è questo il Paradiso,
l’altro… chissà.”
E la tua fede
percossa dalla vita
chiedeva alla mia,
certezza di conferme.
Dialogo con te,
ma è monologo triste
questo mio parlare
dentro la tua assenza.
Rimangono i dubbi.
Ma anche le cose.
Nella stanza accecata di sole
intesso fili di speranza
sulla vecchia tovaglia ricamata.